In base alle statistiche a livello mondiale tale malattia ha un’incidenza del 33%, una persona su tre nei paesi industrializzati, potremmo dire che è una malattia legata allo stile di vita occidentale, tecnologizzato o tecno-centrico. Potremmo, anche dire che è legata a un modo di pensare prettamente occidentale, che ha fatto sì che dal XV secolo in avanti questa malattia (che è sempre stata presente nella storia dell’umanità) sia diventata oggetto di studi. Se volessimo usare una metafora un po’ immaginativa, potremmo dire che: “dove non si vede il cielo stellato di notte, vi è un’incidenza di malattia tumorale”. L’atteggiamento che si ha nei confronti di questa patologia è mutato nel corso del tempo e la movenza terapeutica è sempre legata all’immagine che si ha della malattia. La scelta terapeutica e la possibilità del suo sviluppo sono sempre legati ai modi di pensare la patologia, per le medicine tradizionali il tumore è sempre una stasi energetica: per la medicina cinese una stasi di flemma, nella medicina indiana una stasi di freddo-umido. Anche nella medicina tradizionale occidentale il tumore era visto come: il blocco di uno dei quattro umori. Per queste diagnosi la terapia consisteva nel portare movimento, luce e calore nell’organismo. Con la rivoluzione scientifica moderna sì approfondisce nel dettaglio e il tumore diventa patologia della cellula, un disturbo nel suo meccanismo di crescita cellulare. Nell’oncologia moderna negli ultimi anni si è avuta infine una rivoluzione completa, per cui è stato rivalutato il rapporto del sistema immunitario nella genesi della malattia. La medicina Antroposofica, definì il cancro con l’aggettivo sociale: carcinoma sociale. Il tumore cresce come cresce la società capitalistica. La cellula si “auto-organizza”, creando “uno stato a sé”, una massa senza finalità e coscienza etica che invade il resto dell’organismo che la ospita. In fondo una ribellione da un sistema, ma una ribellione senza altruismo, senza cooperazione, senza intento. Nel capitalismo non c’è un limite alla crescita materiale, il piccolo individuo viene mangiato dal grande potere, il piccolo deve lavorare senza che vi sia un’etica morale nei suoi confronti, deve produrre per il sistema. E sottostà a un sistema di cui non condivide in realtà né fini, né obiettivi ed etica. Riflettendo su ciò è semplice sentirsi colpiti da tale prospettiva; riguarda ognuno di noi in tale epoca.
Perché spaventa così tanto, la malattia tumorale? È una malattia che ci lascia coscienti e in questa coscienza la medicina ci dice che la guarigione è nella lotta costante per non morire di essa. La paura della morte, della finitudine materiale e fisica è un baratro buio e interminabile, alla soglia del nostro pensare cosciente: “potrei morire ora”. La paura più grande che tutti incarniamo, sia santi che ladri. Qui inizia la psicoterapia, dal confronto cosciente con il tema della morte, del proprio credo, del proprio senso di colpa verso sé stessi, verso i familiari, con la ricerca cosciente di una nuova centratura che riporta la propria etica morale ad essere vissuta, dichiarata, esternalizzata. Con tutta la rabbia ed il terrore presenti.
Il malato oncologico in psicoterapia può fare un profondo lavoro di coscienza verso il suo modo di stare al mondo. Viene aiutato dal terapeuta con un’indagine del suo percorso biografico, che porta alla luce i meccanismi abitudinari del “proprio capitalismo”.
Incontrare tale malattia, significa paradossalmente scegliere di fare un lavoro personale profondissimo: un percorso attraverso la propria anima e il proprio spirito, nel dolore fisico. Ogni paziente che si confronta con questa malattia porta un dono al mondo, perché la sua coscienza si amplifica al punto da portare luce nella società.
Alla soglia confluiscono oscurità dei sensi e chiarore dello spirito diventando realtà abbagliante. Immagine riflessa di questa realtà abbagliante è la malattia. Nella malattia vive il guardiano. Incontro cosciente nello spirito. Incontro incosciente nel corpo.